Referendum: obiettivo oscuramento mediatico

La commissione di Vigilanza sulla Rai rinvia ancora il regolamento sulla par condicio che deve stabilire come e quando informare i cittadini-telespettatori sulla tornata del 12 e 13 giugno

La Vigilanza Rai è il tappeto che il governo utilizza per nascondere il triplo referendum del 12 e 13 giugno.
Nessun telespettatore deve conoscere i quesiti sull’energia nucleare, l’acqua ai privati e illegittimo impedimento. E così il governo, a pezzi in parlamento, sfrutta la maggioranza in commissione di Vigilanza per disertare i lavori. La scusa è che manca il numero legale per iniziare l’assemblea, una tattica che da settimane rinvia l’approvazione del regolamento sulla par condicio. Un testo parlamentare per decidere come e quando informare i cittadini-spettatori sul referendum. E nel frattempo, a meno di 45 giorni dal voto e con la par condicio in vigore, la Rai impone a chiunque vada in onda di firmare una liberatoria – come accaduto per il concertone del Primo maggio – per evitare di affrontare il tema. Non è semplice censura, ma raffinato silenzio: il referendum è sigillato in una campana di vetro, i giorni passano e il quorum si allontana.

All’ingresso di San Macuto, sede della Vigilanza, c’è un presidio permanente del Popolo viola e dei comitati per il referendum che ieri si è rafforzato con Antonio Di Pietro, mentre il radicaleMarco Beltrandi occupa i banchi all’interno. E il Pd? Il senatore Vincenzo Vita protesta, e duramente, ma il partito si affida al presidente Sergio Zavoli, disposto a sedute a oltranza pur di ratificare la par condicio. Di Pietro ha ottenuto il primo risultato con una lettera ai presidenti di Camera e Senato: “Quanto sta accadendo in Vigilanza è di una gravità senza precedenti. Per colpa della maggioranza – scrive il leadere dell’Italia dei Valori – un intero mese di tribune referendarie, di spot informativi, d’informazione giornalistica sui quesiti oggetto dei referendum è stato quindi sottratto ai cittadini italiani”.

In serata Gianfranco Fini Renato Schifani hanno risposto chiedendo ai commissari di superare le divisioni e garantire ai cittadini il diritto di essere informati. I due presidenti non potevano schierarsi con la maggioranza, capeggiata dal berlusconiano Alessio Butti, in sete di vendetta con l’opposizione perché, grazie all’intervento di Zavoli, bloccò l’emendamento bavaglio per chiudere i programmi durante la campagna elettorale per le amministrative. Ieri pomeriggioGiorgio Lainati (Pdl) ha ripetuto la strategia: “Votiamo il regolamento nella prossima seduta – ha detto a Zavoli – per il decreto Parmalat a Montecitorio e per la mancanza a occhio del numero legale”.

Ma il presidente ha svelato il giochino con parole chiare: “C’è un problema tecnico per il voto alla Camera – ha replicato Zavoli – ma c’è anche un problema politico, nel senso che sono indotto a ritenere che questa richiesta possa sottendere un risultato ostruzionistico. E’ la premessa per rendere difficoltoso, se non impossibile, ricominciare il nostro lavoro. Devo constatare che viene messo in dubbio quanto stabilito nel verbale dell’ufficio di presidenza del 20 aprile, quando tutti i presenti convennero sulla necessità di esaminare il regolamento rispetto all’atto di indirizzo, perchè è un atto previsto per legge”. Forse oggi – aggiunge Zavoli – sarà il giorno buono, dopo l’ennesimo nulla di fatto ieri sera.

Ma in Parlamento vanno di fretta per far passare, con un veloce esame in Commissione, il decreto Omnibus che aggira il referendum sul nucleare, il quesito che più preoccupa il governo che nel programma sbandierava il ritorno all’energia atomica.

Dal Fatto Quotidiano del 4 Maggio 2011