EFFETTI SU SALUTE E AMBIENTE

SUI FETI  –  SUI BAMBINI  –  SULLE DONNE  –  SU TUTTA LA POPOLAZIONE

SUL CLIMA  –  SULL’AGRICOLTURA  –  SULLE AZIENDE ALIMENTARI


SUI FETI

Uno studio sugli effetti della combustione degli inquinanti atmosferici nella città di New York rivela che i bambini nel grembo materno sono più sensibili rispetto alle loro madri ai danni provocati da tale inquinamento.
Nonostante la protezione fornita dalla placenta, che riduce la dose fetale a circa un decimo della dose della madre, i livelli di danni al DNA nei neonati sono stati simili a quelli riscontrati nelle loro madri.

Il macrostudio è stato finanziato dal National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS), dal  National Institutes of Health e dalla US Environmental Protection Agency, oltre ad una serie di fondazioni private.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Health Perspective.

Questi risultati sono particolarmente importanti in quanto elementi di prova che confermano  precedenti studi su topi di laboratorio, studi che avevano suggerito che il feto fosse più sensibile agli effetti cancerogeni degli  stessi inquinanti rispetto agli adulti. Lo studio è stato effettuato per misurare gli effetti dell’esposizione prenatale e materna alla combustione delle sostanze inquinanti, note come idrocarburi, e le conseguenze per il DNA.
Gli idrocarburi sono inquinanti atmosferici cancerogeni che vengono rilasciati nell’ambiente a seguito della combustione da auto, camion, autobus o motori, consumi residenziali, riscaldamento, energia elettrica, o ancora dal fumo di tabacco.

Secondo i ricercatori, questi inquinanti sono in grado di attraversare la barriera,placentare.
Gli studiosi hanno prelevato campioni di sangue da 265 coppie di madri e neonati che vivono nella città di New York. Le madri erano tutte non fumatrici.
I ricercatori hanno poi analizzato i campioni per la presenza di due importanti biomarcatori cancerogeni, che testimoniano solitamente il rischio di cancro per l‘organismo. Nonostante la percentuale dieci volte più bassa della dose di sostanze inquinanti per il feto rispetto alla madre, i ricercatori hanno constatato che i livelli di danni al DNA sono stati paragonabili nei neonati a quelli delle madri. I risultati di  questo studio sono coerenti con quelli di un’analoga ricerca condotta da ricercatori polacchi a Cracovia. Come dichiarato da Frederica P. Perera, (Biografia)direttore del Columbia Center for Children’s Environmental Health e autore dello studio:

“Questi risultati sollevano gravi preoccupazioni. La suscettibilità del feto a danni al DNA da inquinamento atmosferico, comprese le emissioni dei veicoli a motore e il fumo passivo,  ha importanti implicazioni per il rischio di cancro, sottolineando l’importanza di ridurre i livelli di inquinamento atmosferico nelle città”

 

SUI BAMBINI

LETTERA APERTA INVIATA A TUTTI I DIRETTORI DI GIORNALI  IL  18 LUGLIO 2008

Oggetto: nei bambini e negli adolescenti italiani aumentano i nuovi malati di cancro.

Vogliamo capire perché?

Gentile Direttore,

vorremmo invitare Lei e tutti i suoi lettori ad un attimo di riflessione su questa frase: “la deliberata spietatezza con la quale la popolazione operaia è stata usata per aumentare la produzione di beni di consumo e dei profitti che ne derivano si è ora estesa su tutta la popolazione del pianeta, coinvolgendone la componente più fragile che sono i bambini, sia con l’ esposizione diretta alla pletora di cancerogeni, mutageni e sostanze tossiche presenti nell’ acqua, aria, suolo, cibo, sia con le conseguenze della sistematica e accanita distruzione del nostro habitat”.

Queste parole, che concludono un articolo  sui rischi attribuibili ad agenti chimici scritto dal professor Lorenzo Tomatis  nel 1987, ci sono tornate alla mente come  una lucida profezia davanti agli ultimi, recentissimi  dati sull’incidenza di cancro nell’ infanzia in Italia pubblicati dall’Associazione Italiana dei Registri Tumori (AIRTUM: I tumori infantili Rapporto 2008).

Se già i dati pubblicati da Lancet nel 2004, Come dichiarato da Frederica P. Perera, (Biografia)direttore del Columbia Center for Children’s Environmental Health e autore dello studio:

che mostravano un incremento dell’ 1.1% dei  tumori infantili negli ultimi 30 anni in Europa, apparivano preoccupanti, quelli che riguardano il nostro paese, riferiti agli anni 1998-2002 ci lasciano sgomenti. I tassi di incidenza per tutti i tumori nel loro complesso sono mediamente aumentati del 2% all’anno, passando da 146.9 nuovi casi all’anno (ogni milione di bambini) nel periodo 1988-92 a ben 176 nuovi malati nel periodo 1998-2002. Ciò significa che in media, nell’ultimo quinquennio, in ogni milione di bambini in Italia ci sono stati 30 nuovi casi in più. La crescita è statisticamente significativa per tutti i gruppi di età e per entrambi i sessi. In particolare tra i bambini sotto l’anno di età  l’ incremento è addirittura del 3.2% annuo.

Tali tassi di incidenza in Italia  sono nettamente più elevati di quelli riscontrati in Germania (141 casi 1987-2004), Francia ( 138 casi 1990-98), Svizzera ( 141 casi  1995-2004). Il cambiamento percentuale annuo risulta più alto nel nostro paese che in Europa sia per  tutti i tumori (+2% vs 1.1%), che per la maggior parte delle principali tipologie di tumore; addirittura per i linfomi l’incremento è del 4.6% annuo vs un incremento in Europa dello 0.9%, per le leucemie dell’ 1.6% vs un + 0.6% e così via.

Tutto questo mentre si vanno accumulando ricerche che mostrano con  sempre maggiore evidenza come sia cruciale il momento dello sviluppo fetale non solo per il rischio di cancro, ma per condizionare quello che sarà lo stato di salute complessivo nella vita  adulta.

Come interpretare questi dati e che insegnamento trarne?

Personalmente non ne siamo affatto stupiti e ci saremmo meravigliati del contrario: i tumori  nell’ infanzia e gli incidenti sul lavoro, di cui ogni giorno le cronache ci parlano, unitamente alle malattie professionali, ampiamente sottostimate in Italia, sono due facce di una stessa medaglia, ovvero le logiche, inevitabili  conseguenze di uno “sviluppo” industriale per gran parte dissennato, radicatosi in un sistema di corruzione e malaffare generalizzato che affligge ormai cronicamente il nostro paese.

Potremmo, sintetizzando, affermare che lo stato di salute di una popolazione è inversamente proporzionale al livello di corruzione e quanto più questo è elevato tanto più le conseguenze si riversano sulle sue componenti più fragili, in primis l’infanzia, come Tomatis già oltre 20 anni fa anticipava.

Le sostanze tossiche e nocive non sono meno pericolose una volta uscite dalle fabbriche o dai luoghi di produzione e la ricerca esasperata del profitto e dello sviluppo industriale – a scapito della qualità di vita -, non può che avere queste tragiche conseguenze.

Dott. Michelangiolo Bolognini  Igenista- Pistoia

Dott. Giuseppe Comella Oncologo – Napoli

Dott,ssa Maria Concetta Di Giacomo Medico di Medicina Generale – Padova

Dott. Gianluca Garetti Medico di Medicina Generale –  Firenze

Dott. Valerio Gennaro Oncologo-Epidemiologo –  Genova

Dott.ssa Patrizia Gentilini  Oncologo – Ematologo –  Forlì

Dott. Giovanni Ghirga Pediatra –  Civitavecchia

Dott. Stefano Gotti Chirurgo –  Forlì

Dott. Manrico Guerra Medico di Medicina Generale –  Parma

Dott. Ferdinando Laghi  Ematologo – Castrovillari

Dott. Antonio Marfella Oncologo – Tossicologo Napoli

Dott. Vincenzo Migaleddu Radiologo –  Sassari

Dott. Giuseppe Miserotti Medico Medicina Generale –  Piacenza

Dott. Ruggero Ridolfi Oncologo-Endocrinologo –  Forlì

Dott. Giuseppe Timoncini Pediatra – Forlì

Dott. Roberto Topino Medico del Lavoro –Torino

Dott, Giovanni Vantaggi Medico di Medicina Generale -Gubbio

 

Gli inceneritori fanno crescere la mortalità nei bambini

La notizia sconvolgente ma prevedibile arriva dall’Inghilterra,
e precisamente da uno studio dell’UK Health Reserch sulla mortalità infantile.

La salute umana è messa in pericolo dalla presenza degli inceneritori, ed in particolare è la vita dei bambini quella più a rischio. Ci troviamo nei distretti circostanti l’inceneritore di Kirklees, un impianto a griglia costruito dalla multinazionale Sita a Dalton, che tratta 136.000 tonnellate di rifiuti all’anno, nella regione dello Yorkshire e Humbire, nord dell’Inghilterra.

Si è scoperto che chi abita sottovento rispetto all’impianto
ha un tasso di mortalità infantile anormalmente alto, con un dato pari al 9,6 per mille. Mentre al contrario chi abita sopravento ha un tasso di mortalità dell’1 per mille.

L’inceneritore dei rifiuti solidi urbani di Kirklees produce energia elettrica che serve la zona circostante. Il dimensionamento dell’impianto è praticamente lo stesso di quello che Enìa vuole costruire a Parma, e già nel settembre del 2006 ci sono state forti preoccupazioni per una fuga di gas.
Cresce così anche la preoccupazione fra i cittadini di Parma, che abitano a pochi passi dal costruendo impianto di Ugozzolo (4 km in linea d’aria da piazza Duomo) ma in particolare per gli abitanti dei comuni di Sorbolo e Mezzani, zone dove sarà indirizzato dai venti il fall out di fumi e sostanze cancerogene.

Purtroppo anche la migliori tecnologie applicate, vedi il nuovo scandalo inglese, non garantiscono la salubrità di questi impianti che aldilà delle qualità delle strutture sono di per sé produttori di diossine e mille altre sostanze volatili e velenose come furani e nanoparticelle.

 

SULLE DONNE

‘Troppa diossina nel latte materno’

Repubblica — 09 aprile 2008   pagina 6   sezione: BARI

TARANTO – Il nemico invisibile di Taranto spunta nel latte materno. Livelli inquietanti di diossina sono stati riscontrati nel latte di tre giovani mamme tarantine. La denuncia shock è esplosa ieri mattina come una bomba. A lanciarla è stato Giuseppe Merico, il pediatra presidente dell’ associazione “Bambini contro l’ Inquinamento. Lo scorso 29 marzo proprio lui aveva guidato la marcia contro ciminiere e smog. In ottomila lo avevano seguito. Ieri il pediatra ha diffuso i risultati dei test affidati all’ Inca di Lecce sul latte di tre tarantine. Le analisi hanno accertato che contiene il 50% di diossina in più rispetto a quello riscontrato nelle donne di Roma. La conseguenza è che ai neonati con il latte materno è trasferita una dose giornaliera di diossine venticinque volte superiore alla soglia di tollerabilità indicata dall’ organizzazione mondiale della sanità. “Non vogliamo fare allarmismo – ha detto Merico – ma intendiamo richiamare ancora una volta l’ attenzione della politica. I livelli di diossina a Taranto vanno abbattuti”. I test sono stati condotti su tre donne di 32, 31 e 26 anni. La prima risiede ai Tamburi, il popoloso quartiere che vive gomito a gomito con gli sbuffi dell’ Ilva. La seconda a Crispiano, ad un pugno di chilometri dal capoluogo. La più giovane, invece, risiede nella frazione di Lama. In linea d’ aria la più lontana dalla imponente zona industriale, ma nel suo latte sono stati scovati i livelli più alti di diossine. “Non vogliamo e non possiamo accusare nessuno e voglio dire con chiarezza che il latte materno resta il migliore alimento per i neonati. Invochiamo, però, maggiore impegno contro l’ inquinamento” ha concluso Merico che ha consegnato un esposto alla procura allegando gli esiti dei test. La presenza di diossina nelle mamme è stata ricondotta alla catena alimentare. Quel veleno dagli effetti nocivi è entrato nel loro corpo con il cibo. Sugli alimenti era scattato un altro allarme nelle scorse settimane, con le pecore e le capre di quattro allevamenti risultati contaminati da diossina e pcb. Per questo 800 ovini e caprini sono attualmente sotto vincolo sanitario. Contro l’ allarme rimbalzato da Taranto, però, si schiera Giorgio Assennato, direttore dell’ Arpa Puglia. “Non concordo sulla lettura di questi dati e non c’ è alcuna peculiarità tarantina. Si tratta di livelli riscontrabili in tutte le zone urbane. Ritengo grave – insiste Assennato – che si allertino in questa maniera le mamme. Fortunatamente il prossimo 1 maggio sarà varato il laboratorio su Taranto e così potremo informare correttamente la città e fronteggiare la tendenza a diffondere il panico”. Sul problema diossina interviene anche il presidente della Regione Nichi Vendola. “Non sottovaluto – spiega – la situazione di rischio per la salute e di guasti per il territorio dell’ area tarantina. Dalle rilevazioni effettuate è confermata solo la pericolosità di alcuni prodotti da pascoli bradi, mentre giungono rassicurazioni per gli allevamenti in stalla, i prodotti agricoli e il latte della Centrale”. Per Vendola “Lo stesso accordo sull’ AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) dell’ Ilva e di altre importanti società che ieri mattina ha visto il consenso dei tecnici, dei ministeri, del sistema delle autonomie locali, della Regione e delle società private, va nella direzione di garantire in tempi rapidi il monitoraggio e l’ adeguamento dell’ impiantistica alle migliori tecnologie. E di subordinare – conclude – il rilascio delle autorizzazioni all’ assunzione degli accorgimenti necessari per abbattere drasticamente le diossine”. – PAOLO RUSSO

 

SU TUTTA LA POPOLAZIONE

EFFETTI CANCEROGENI DELLE SOSTANZE EMESSE DA INCENERITORI

DATI IARC – Istituto Superiore della Sanita’

Agente

Effetto Cancerogeno

Arsenico

Pelle, polmome, fegato, vescica, rene, colon

Berillio

Polmone

Cadmio

Polmone e prostata

Cromo

Polmone

Nickel

Polmone

Mercurio

Polmone, pancreas, colon, prostata, encefalo, rene

Piombo

Polmone, vescica, rene, gastroenterica

Benzene

Leucemia

Idrocarburi policiclici

Fegato, polmone, leucemia

Cloroformio

Vescica, rene, encefalo, linfoma

Clorofenoli

Sarcomi tessuti molli, linfomi Hodgkin e non Hodgkin

Tricloroetilene

Fegato, linfomi non Hodgkin

TCDD

Linfomi non Hogkin, sarcomi

 

 

 

Altro grafico significativo:

 

STUDI EPIDEMIOLOGICI ITALIANI SULLE POPOLAZIONI RESIDENTI IN PROSSIMITA’

DI INCENERITORI

 

FONTE                  AREA                  DISEGNO                        RISULTATI PRINCIPALI

DELLO STUDIO

Biggeri et al.

1996

Trieste

Caso-Controllo

Incremento del rischio di cancro polmonare

Michelozzi et al.

1998

Roma

Mortalità

micro geografica

Incremento della mortalità per alcune cause e riduzione della

sex-ratio alla nascita

Chellini et al.

2002

Prato

Mortalità

micro geografica

Incremento del rischio di cancro polmonare

Comba et al.

2003

Mantova

Caso-Controllo

Incremento del rischio di sarcoma dei tessuti molli

Biggeri e Catelan

2005

Campi

Bisenzio

Mortalità comunale

Incremento dei linfomi non Hodgkin

Biggeri e Catelan

2006

17 aree

della Toscana

con inceneritori

Mortalità comunale

Incremento dei linfomi non Hodgkin

Bianchi e Minichilli

2006

25 comuni italiani con inceneritori

Mortalità comunale

Incremento dei linfomi non Hodgkin

Tessari et al.

2006

Venezia

Caso-Controllo

Incremento del rischio di sarcoma dei tessuti molli nelle donne dell’area più esposta

Renzi et al.

2006

Forlì

Coorte di residenti

Incremento di mortalità nelle donne per tutte le cause, tumore del colon e della mammella, per diabete e malattie cardiovascolari

Zambon et al.

2007

3 ASL prov. Di

Venezia

Caso-Controllo

Incremento di rischio di sarcoma in entrambi i generi e di tumori del connettivo e di altri tesuti molli nelle sole donne

 

Pietro Comba , Lucia Fazzo: Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione

Primaria, Istituto Superiore di Sanita’ Roma

Fabrizio Bianchi : Istituto di Fisiologia Clinica, Sezione di  Epidemiologia

Consiglio Nazionale delle Ricerche, Pisa

 

SULL’AGRICOLTURA

Quello che segue è un interessante articolo redatto da Gianni Tamino (Biografia)– Docente di Biologia generale e di Fondamenti di Diritto ambientale al Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova – sui principali aspetti di compatibilità/incompatibilità tra inceneritori ed agricoltura sostenibile. Studi condotti dall’università di Birmingham ribadiscono come in prossimità delle centrali per lo smaltimento dei rifiuti leucemie e cancri aumentano vertiginosamente, ad esempio, nei bambini. Un fattore di rischio è dato, in particolare, dalle ceneri che vengono trasferite dall’aria al suolo.

Inceneritori ed agricoltura sostenibile. L’agricoltura sostenibile deve conservare ed utilizzare la biodiversità, rifiutando l’uniformità produttiva del sistema agricolo industriale e rivalutando la tipicità dei prodotti e la biodiversità dei gusti del cibo a seconda delle regioni. Inoltre, avendo come obiettivo la qualità e non tanto la quantità, si adatta anche a quelle regioni considerate marginali, come quelle di collina e di montagna. La pericolosità degli inquinanti prodotti dagli inceneritori è confermata da numerosi studi medici. Uno studio epidemiologico condotto dall’Università di Birmingham ribadisce che in prossimità di inceneritori di rifiuti, il rischio di leucemia e cancri solidi aumenta vertiginosamente nei bambini. Gli inquinanti vengono trasferiti dall’aria al suolo con le scorie e le ceneri Le principali sostanze inquinanti emesse da un impianto di incenerimento sono: Policlorodibenzodiossine (Diossina); Policlorodibenzofurani (Furani); Ceneri contenenti mercurio, cadmio, rame, manganese, nichel, zinco, cromo, ferro; Idrocarburi policiclici aromatici (IPA); Fosforo; Ossidi di zolfo; Cloro; Ossidi di azoto; Acido Solfidrico; Ossido di carbonio; Ceneri contenenti argento, antimonio, arsenico, stagno, idrocarburi policiclici aromatici.

A tutto questo va aggiunta la produzione di CO2: incenerire 1 kg di rifiuti comporta l’uso di 7 kg di aria e 1 kg acqua, nonché la produzione di 3 kg di CO2 determinante per l’incremento dell’effetto serra. Un inceneritore, inoltre, riduce ma non elimina la quantità di rifiuti: di ogni tonnellata di RSU incenerita infatti produce 300 kg di scorie, 30 kg di ceneri e 10-80 kg di prodotti usati per la depurazione. Tutto questo ha un peso e un volume molto inferiore rispetto ai RSU ma ha un potere inquinante molto più alto e quindi va smaltito in discariche speciali le quali oltre ad essere più costose garantiscono la conservazione e la non pericolosità dei rifiuti solamente per 20 anni a fronte di una durata centenaria degli inquinanti. Come riporta un documento di Medicina Democratica, da un’indagine del Ministero dell’Agricoltura francese risulta che tassi allarmanti di diossina sono stati riscontrati nel latte prodotto in 34 dei 95 Dipartimenti del Paese. In tre Dipartimenti del Nord – l’area a maggiore vocazione lattiera – il tasso riscontrato è superiore a 3 picogrammi per grammo di grassi dei prodotti lattiero – caseari analizzati, rispetto ad un valore di riferimento che non dovrebbe superare 1 picogrammo, mentre a 5 picogrammi scatta la proibizione del consumo. La diossina dispersa nell’atmosfera appare dovuta all’attività degli inceneritori; 40 impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, secondo il Ministero dell’Ambiente, non sarebbero in regola, e quindi continuano sistematicamente a contaminare i pascoli. L’indagine si sta anche estendendo ai tassi di diossina nelle uova e nelle carni.

Le prefetture hanno vietato a sedici aziende agricole la vendita del latte prodotto e sono stati chiusi gli inceneritori di Halluin, Wasquehal e Sequedin (zona di Lille) assieme a quello di Maubeuge, nel nord del paese, dove si è accertato il superamento di 1.000 volte il vigente limite previsto dalle direttive dell’Unione Europea sulle diossine. Tant’è che la Francia sta riconsiderando la sua politica di smaltimento dei rifiuti urbani da decenni basata sull’incenerimento e sta sottoponendo gli impianti di incenerimento, fino a ieri vantati come sicuri e non inquinanti, a verifiche approfondite. Lo studio ha portato alla richiesta di blocco della costruzione di ulteriori inceneritori per rifiuti per evitare di aggravare l’attuale contaminazione, mettendo pertanto in discussione il programma francese che prevede oltre cento nuovi impianti. Analoghe verifiche sono in corso in Belgio per l’impianto di Anversa come per quelli di Weurt e Lathum in Olanda. In Olanda, è utile ricordarlo, nel 1989 l’inceneritore di Rotterdam fu spento e la produzione di latte del circondario fu distrutta per diversi anni per l’elevata presenza di diossine. In alcuni casi si sono verificate contaminazioni tra 11 e 14 nano g/l in T C D Deq a fronte di un limite massimo fissato in Olanda a 0,1 nano g/l; questo inquinante ha interessato anche aziende di agricoltura biologica. Ma non è solo la diossina ad inquinare i prodotti agricoli o a danneggiare le coltivazioni intorno ad un inceneritore. Infatti un peso rilevante è svolto anche da furani, IPA e metalli pesanti che possono essere assorbiti dai vegetali e trasferiti, attraverso la catena alimentare, agli animali e all’uomo. Inoltre ossidi d’azoto, ossidi di zolfo, cloro, acido solfidrico possono reagire con pioggia e nebbia, dando origine a ricadute acide o comunque tossiche, pericolose per le coltivazioni agricole e in generale per l’ambiente. Anche le condizioni climatiche possono essere modificate a causa dell’incremento di CO2, dei fumi e del calore prodotti. È dunque evidente che campi e pascoli attorno ad un inceneritore vengono gravemente danneggiati sia dal punto di vista ambientale, che sanitario ed economico. D’altra parte è ben difficile fare sforzi per avere un’ agricoltura di qualità, magari biologica, legata al territorio se il territorio è sottoposto a fonti di inquinamento, tra l’altro ben visibili da parte dei potenziali consumatori: chi potrebbe reclamizzare il proprio prodotto agricolo con un’immagine dei campi sovrastati da un inceneritore?

 

SUL CLIMA dicembre 2009

Effetti sul Cima delle PRIME BOZZE DI COPENAGHEN

Alcune indiscrezioni giornalistiche riportate da Sky Tg24, parlano di una bozza di accordo, presentata dall’ONU, in cui si propone quanto segue: 1) i paesi ricchi devono ridurre le loro emissioni di CO2 nel 2020 da un minimo di 20% a un massimo di 40% ;2) i paesi poveri devono ridurre le loro emissioni nel 2020 da un minimo di 15% ad un massimo di 30%; 3) diminuire l’emissione di anidride carbonica del 75%-90% entro il 2050. Qui fornisco un’analisi delle emissioni e una stima della diminuzione della temperatura che si otterrebbe nel 2020 rispettando al meglio le proposte 1) e 2). Elaborando i dati dell’International Energy Annual 2006 dell’ Energy Information Administration statunitense, l’emissione complessiva di CO2 imputabile all’uomo è stata, nel 2006 , pari a 58391 milioni di tonnellate.

SULLE AZIENDE ALIMENTARI

http://www.quibrescia.it/index.php?/content/view/3938/1/

Ambiente

Diossina nel latte della Centrale

domenica 16 dicembre 2007

(red.) Una partita di latte inquinato dalla presenza di diossina superiore ai limiti consentiti dalla legge è stata individuata dai controlli effettuati prima della lavorazione nella Centrale comunale del latte di Brescia. Il prodotto era stato consegnato da tre aziende agricole dell’hinterland cittadino. La società ha avvisato i servizi medico-veterinari dell’Asl e l’Istituto zooprofilattico di via Bianchi.
La spiacevole sorpresa, rivelata questa mattina dal quotidiano Bresciaoggi,  è saltata fuori durante i controlli organolettici che il laboratorio interno della Centrale effettua sul latte ritirato nelle fattorie, che hanno fatto scoprire una concentrazione di “pop” (clorurati organici persistenti) oltre la soglia consentita.
I limiti alla presenza di diossine che la legge prevede per il latte (entrati in vigore a novembre), mettono insieme per la prima volta diossine e Pcb. In ogni millilitro di prodotto, possono essere presenti al massimo 3 picogrammi (miliardesimi di milligrammo) di diossina e 3 picogrammi di Pcb e il totale non deve comunque superare i 6 picogrammi. Nella partita di latte contaminato scoperta l’altro giorno, invece, il livello era intorno ai 6,5  picogrammi.
Le autorità hanno quindi bloccato l’attività nelle tre aziende agricole (una è in via Colombaie al villaggio Violino, un’altra è la Pastori di viale Bornata e la terza un’azienda di Flero), che insieme allevano circa 150 mucche da latte. Il prodotto contaminato frutto della mungitura quotiana degli animali, verrà smaltito in un impianto specializzato.
Ma l’Asl ha posto sotto stretto controllo anche altre sette aziende agricole nei dintorni ed ha avviato le analisi dei terreni per controllare se vengono superati i limiti di legge nella presenza di diossine: 0,75 nanogrammi per

chilogrammo sull’erba e di 10 nanogrammi per chilo nel terreno.
L’ipotesi è infatti che la sostanza inquinante si trovasse nel foraggio che è stato dato alle mucche. Anche perché l’inquinamento, figlio della società malata in cui viviamo, è talmente diffuso attorno alle città che fare agricoltura o allevare animali nell’hinterland di Brescia è ormai un’attività ad altissimo rischio.